2.1.17

LA LOTTA DEI METALMECCANICI NON SI FERMA. UNA RIFLESSIONE PARTENDO DAI 69 MILA NO CHE DICHIARANO GUERRA ALLA LINEA LANDINI


A Firenze il 6 dicembre, s’era riunita l’assemblea nazionale dei delegati FIOM promotrice dell’appello per il NO sul rinnovo del CCNL dei metalmeccanici e che aveva visto come firmatari, il 26 novembre, la FIOM, la FIM e UILM con Federmeccanica. Questa assemblea agguerritissima nelle intenzioni, aveva espresso nella volontà degli operai che l’hanno costruita, di intessere una sottile ma fitta rete di comitati del NO nelle fabbriche e per quanto riguarda i delegati FIOM, di opporsi alla direzione che dava indicazioni contrarie. Interventi, assemblee, volantinaggi e iniziative si sono febbrilmente succedute per informare i lavoratori e lavoratrici delle motivazioni del NO il 19, il 20 e 21 dicembre (non hanno potuto votare i lavoratori della Magneti Marelli del gruppo Fiat in cui è in vigore un contratto aziendale). Tale accordo di fatto ha rappresentato il cedimento della FIOM alle imposizioni padronali e l’avvicinamento sostanziale alla FIM e UILM. indebolendo ulteriormente l’organizzazione sindacale e scardinando ulteriori diritti acquisiti, sacrificando questo CCNL, all’altare del Jobs Act, della Riforma Fornero e della limitazione del diritto di organizzarsi e di scioperare. Pone quindi anche premesse per rinunciare ai referendum di primavera per i quali la CGIL ha già raccolto le firme o per perderli o comunque renderli inani di conseguenze pratiche. E’ inoltre è chiaro che in un anno di trattative con Federmeccanica, la Fiom abbia considerato la condizione economica come l’unica indispensabile per la firma del contratto. Nonostante ciò che era stato firmato neanche rispettasse questa condizione. La questione non poteva risolversi sui 92 euro di aumento o nel dibattere se questi fossero tanti o pochi. Innanzitutto perché non è quella la cifra esatta e non è neanche destinata a tutti. Questa si ricava dalla somma di 51 euro di aumenti salariali al resto del «fisco di vantaggio» aziendale (si considerino nella rendicontazione: 7,69 euro di aumento sulla previdenza, 12 sulla sanità, 13,6 di welfare, da cui ottenere 85 euro mensili che diventano 92,68 con la quota per il diritto alla formazione continua). Una elemosina che ha ingenerato solo confusione, dato che sono state calcolate come in unica somma le voci di salario diretto a prestazioni di welfare, come se fosse possibile considerarle voci sovrapponibili. E inoltre, si accede a tale cifra aggiuntiva unicamente prendendo in considerazione il welfare integrativo, dunque non più un diritto universalmente riconosciuto ma rapporto economico basato su un rapporto con un fondo privato o con un fondo aziendale. Questi 51 euro salariali poi, non essendo accorpabili a tutti gli aumenti “fissi collettivi della retribuzione eventualmente concordati in sede aziendale”, escludono la possibilità che tutti possano usufruirne. Un’operazione banditesca che consente alle aziende di capitalizzare un’ “indennità di contingenza” a proprio vantaggio, seguita tra l’altro da una pessima parte normativa. E non si prende atto che la Fiom, dopo otto anni di battaglie, accettando tale contratto abbia assunto quello separato del 2012 a cui precedentemente s’era opposto. Questo includeva continui straordinari obbligatori, la flessibilità oraria, la penalizzazione della malattia e l’apertura alle deroghe. Attualmente, il rapporto è piuttosto evidente tra l’assunzione della penalizzazione della malattia, presente nel contratto del 2012 e la forte riduzione della 104 nell’ attuale rinnovo , quindi si presuppone che il prossimo andrà in direzione della sanità integrativa. il Sì ha pienamente esaudito le intenzioni di Renzi, Poletti e Federmeccanica, ottenendo il blocco dei salari, per cui ogni aumento avverrà a livello aziendale in maniera arbitraria e nel costante aumento dei carichi di lavoro, assottigliando ovviamente la “paga oraria”, costringendo il lavoratore a diventare semplicemente un fruitore del proprio stipendio, fidelizzandolo attraverso benefits aziendali; concedendo 80 ore alle aziende e facendo in modo che l’orario settimanale arrivando fino a 48 ore, riduca l’operaio a diventare l’esecutore perfetto delle esigenze e delle imposizioni del mercato. I premi aziendali inoltre subiscono un’evidente tracollo per quella produttività che il lavoratore non determina di certo da solo. E’ questo dunque un contratto che può esemplarmente considerarsi un modello, uno pessimo, dove minata, è la stessa sindacalizzazione e in cui si assiste alla contrapposizione della classe, tra realtà produttive che “funzionano” e altre che arrancano, giocoforza costringendo i proletari al ciclo continuo dell’azienda, tanto da far ripensare anche allo sciopero come momento di forza che infrange la produttività. Il sindacato dunque come un’agenzia governativa, capace di offrire servizi piuttosto che difendere la classe lavoratrice e affetto da “aziendalismo” avversario delle punte più avanzate dell'organizzazione (la Fiom tra l’altro non ha mai espresso una chiara opposizione al Jobs Act) Per tutte queste ragioni, quando la consultazione, nella commissione elettorale FIM FIOM UILM è stata dichiarata terminata nell’approvazione dell’ipotesi di accordo, ben l’80% l’ha promosso con voto favorevole, rispetto ai quasi settantamila lavoratori che hanno opposto un netto NO. Consultazione, conclusa tra l’altro come se andasse immediatamente liquidata, svolta con il Natale alle porte, tra assemblee mai fatte, fabbriche chiuse, altre in crisi cassa integrazione o con gli operai a casa soggetti ai Contratti di solidarietà e mobilità volontaria (basti pensare alla Piaggio) Un No sospeso dunque tra il danno e la beffa, per un bislacco principio democratico e che non ha avuto possibilità di visibile concretezza nelle assemblee, nelle commissioni elettorali, nelle fabbriche, in cui è stato possibile unicamente portare le ragioni del SI, principio in questa situazione difeso strenuamente dalla FIOM (e in altre occasioni fortemente attaccato). Era comunque possibile immaginare il modus operandi delle burocrazie che in tale occasione, addirittura nella protervia dei propri funzionari ha impedito di volantinare ai cancelli. Sta di fatto che nonostante gli scarsi mezzi, si è raggiunto un consenso che si è accresciuto ben oltre l’area che è stata in FIOM in questi anni, ugualmente come era stato per l’integrativo di Fincantieri in estate. Dove le ragioni del dissenso sono arrivate, il NO non si è fatto attendere in quelle fabbriche dove la voce dei delegati dell’area era flebile (o assente del tutto) o che di norma si schieravano con la maggioranza della FIOM. Un esempio è la Tenaris Dalmine di Bergamo che per la prima volta dopo decenni, vede la bocciatura di un contratto nazionale (così come la ST Microelectronic, la AST, la Electrolux, Fincantieri, l’ILVA di Genova) . Il Sì che piace agli industriali, al Sole24ore, ad Ichino, alla Tiraboschi va detto però che è quello che è stato assunto dalla maggioranza dei lavoratori, malgrado il NO abbia vinto o si sia attestato su percentuali alte, dimostrando lo scricchiolamento della FIOM, l’ostilità a tale contratto nazionale in accordi a perdere e il depauperamento progressivo dei diritti. Se nel 2009 e 2012, in molti sostennero la posizione della FIOM quando rifiutò di firmare gli accordi separati, questo di oggi, definisce il profilo del più antico sindacato industriale italiano. non più come voce critica nel rapporto con la CGIL che pur è stata, soprattutto in visione delle ultime derive burocratiche e prescrittive all’interno della propria organizzazione. E grande è stata la delusione a Trieste, Bergamo, Napoli, Genova, Modena, Parma, alla Same, alla GKN, negli stabilimenti Electrolux Susegana, nei cantieri navali di Fincantieri, alla Marcegaglia di Forlì, alla Danieli di Udine, alla Piaggio di Pontedera, alla Continental, all’ex Avio di Pomigliano, alla Jabil di Caserta, alla Motovario di Modena, all’ILVA di Genova, all’Ansaldo, alla Sirti alla ST Microelectronic., realtà tra le più grandi, combattive e militanti e organizzate della classe e in cui il proletariato coscientizzato ha dimostrato che è possibile creare spazi di dissenso all’interno della CGIL e che questi vadano conquistati passo dopo passo e con la medesima radicalità di cui sono stati capaci tanti compagni della Fiom nella risposta ai vertici sindacali, spostando i rapporti di forza verso il merito della discussione e della lotta. Si attende pertanto l’assemblea dei delegati a Firenze che il 27 gennaio si ritroverà, traendo le somme per quanto riguarda il risultato della consultazione nella prospettiva di un’azione contrattuale e sindacale di resistenza e attacco a questo contratto. Da una crepa si può aprire un varco ben più ampio della pur tenace mobilitazione dal basso che vi è stata di delegati e delegate nell’intessere una rete che fosse salda e capiente di molte istanze. 69mila NO di fabbrica - pur se come voto di minoranza – diventano essenziale base di partenza nel contrastare la FIM, la UILM e la maggioranza della FIOM, nella difesa del salario e nell’attacco padronale ai diritti e alle condizioni di lavoro.

Nessun commento:

Sostieni il PCL

Sono in vendita le nuove magliette del PCl a 12 € l'una più spese di spedizione, mettiti in contatto con la nostra mail per acquistarle