6.5.17

I MAGGIO A FIRENZE 2017 - ANTICAPITALISTA E PER L'UNITA' DI CLASSE






A Firenze, dopo anni di opaca acquiescenza a tale importante data, il Pcl e molte altre realtà anticapitaliste (CUB, USB, USI, Fronte di Lotta No Austerity, Associazione Mariano Ferreyra, Rifondazione Comunista, Marxpedia, CortocircuitO, Sinistra Anticapitalista, Firenze a Sinistra, Comitato No Tav, Stop TTIP, Rete Fiorentina Antirazzista) hanno deciso che questo primo maggio sarebbe stato ricordato come un momento essenziale, restituendo il significato più profondo in quanto giornata internazionale di lotta delle lavoratrici e dei lavoratori e punto di partenza prima ancora che di arrivo della battaglia dei proletari contro un sistema che fa della violenza, la fame di profitto, la guerra, il perno e la ragione della propria esistenza. 

Il Pcl si è impegnato perché fosse chiaro ed evidente che il primo maggio si riappropriasse della propria memoria e in definitiva l’unica che riguardi i lavoratori, ribadendo l’importanza dell’unità contro le divisioni padronali e i partiti reazionari come il Pd, che non solo impongono alla classe lavoratrice la sottomissione ma nella macelleria dei diritti e nella giurisprudenza del lavoro e nella repressione, ne sviliscono la capacità propositiva e oppositiva, ne svuotano la lotta. Il corteo, ha visto alcune centinaia di militanti delle diverse realtà cittadine e non solo: compagni di realtà sindacali dalla storia e le metodologie differenti sensibili a ad una convergenza da fronte unico nella coscienza che all’oppressione capitalista si risponde con la mobilitazione e la guerra di classe. 

Non abbiamo infatti dimenticato che politiche dell’austerità portate avanti dalle classi dominanti in Italia ed Europa sono la dichiarazione del conflitto sociale ai lavoratori, alle classi popolari, offrendo a costoro un conto amarissimo fatto di precarietà, instabilità, cassando loro diritti democratici e sociali preziosi, rapinando i giovani di ogni prospettiva futura, di ogni investimento progettuale. È stato questo il primo maggio degli immigrati, braccia indispensabili al Capitale da depredare, traendone ricchezza, schiavitù, imponendo loro la guerra, quella sì “a casa loro”. Non è possibile infatti ignorare gli interventi militari in Medio Oriente, in Africa e lo stillicidio consumato nella tragedia di milioni di migranti che nel tentativo di salvare la propria vita da conflitti sempre più sanguinosi, volgono lo sguardo ad un’Europa che se alza muri e frontiere, sbarrando le porte, in realtà nei settori dove il conflitto capitale/lavoro, si realizza feroce (come nella logistica), non aspira altro che ad uno sfruttamento intensivo e con scarse quando non esistenti garanzie contrattuali. 

Il primo maggio si è voluto “anticapitalista e di (e per l') unità di classe” dunque, proprio perché fosse chiaro il monito sul pericolo di venti reazionari e la recrudescenza di forze neofasciste, che nell'odio razzista mirano non solo a dividere la classe, costruendo la falsariga di un nemico nei migranti ma offrono il placet ai padroni che nella compravendita della fatica a poco di queste persone, attuata con la complicità dei sindacati confederali, continuano nell'incessante lavoro dello scannatoio delle politiche sociali. Ed è sulle direzioni sindacali che grava la grandissima colpa di non aver costruito e rinsaldato alcun movimento di lotta e soprattutto unitario che rispondesse colpo su colpo agli attacchi della Confindustria, consentendo le misure di “sangue e lacrime” attuate dai vari governi succedutisi fino a quello attuale, perseverando nell’opera di distruzione dei diritti del lavoro, nel potere di acquisto di salari inadeguati e pensioni ed età pensionabili stabilite su criteri indecenti e inventandosi infine, con il decreto Minniti, nuove misure repressive (che tra gli innumerevoli abomini da questo contemplato, include anche la possibilità di arresto in “flagranza differita” verso tutti coloro che promuovono mobilitazioni di piazza). 

L’impegno assunto dall "Assemblea per un primo maggio di lotta" ha fatto sì che per le vie del centro sfilassero i lavoratori ma non solo, presenti erano anche studenti, precari, disoccupati, migranti e senza tetto. Per il valore simbolico e di rivolta, nella prima che si possa considerare di classe in Europa, il corteo ha scelto Piazza de Ciompi, vicina ai lavoratori della Conad di via Pietrapiana. La prima sosta è stata stabilita infatti davanti all’esercizio commerciale il quale, non solo era aperto in quella giornata ma lo è sempre nei giorni festivi. 

La protesta dunque non poteva che realizzarsi come doverosa, necessaria, nella richiesta di chiusura almeno per 15 minuti, 15 minuti preziosi in cui anche altri militanti di altre organizzazioni presidiavano il punto vendita con le proprie bandiere, i propri simboli, le proprie parole d’ordine e durante i quali chiari, vibranti, si sono pronunciati gli interventi da parte dei rappresentanti della CUB, dell’ USB e dell’USI tra il volantinaggio dei compagni all’interno e fuori il supermercato, parlando ai commessi e alle persone che si fermavano chiedendo le ragioni di tale mobilitazione. 

La tappa a Palazzo Vecchio, ha visto l'intervento di Alessandro Nannini, delegato dei Cobas ATAF che ha invitato i lavoratori a dare adesione allo sciopero Ataf del 15 maggio evidenziando le gravi responsabilità del sindaco Nardella che ha scaricato sull’azienda ma soprattutto sui lavoratori la responsabilità dei disagi, quando è chiaro che il problema sono unicamente le scelte di Palazzo Vecchio. Una volta a Santa Croce, verso Borgo de Greci e in direzione della camera del lavoro, il corteo ha commemorato Fabio, morto ad appena 21 anni mentre si guadagnava il pane il 28 aprile presso una ditta di spedizioni all’Osmannoro, offrendo solidarietà ai colleghi e ai suoi familiari e denunciando l’ammorbante indifferenza della CGIL che per quella assurda fine non solo non ha dedicato mezzo comunicato ma s’è anche ben guardata dal proporre ed organizzare uno sciopero generale dei lavoratori del settore, nell’esigenza di contratti stabili e di giuste condizioni di lavoro che non possono eludere di certo il diritto alla sicurezza (il giovane, era stato assunto da una ditta che faceva intermediazione di manodopera). 

Questo primo maggio però, al dolore della perdita, segna anche il passo dei lavoratori dell’Alitalia nel No al referendum, rigettando la proposta del governo e dei sindacati confederali, rimarcando un momento cruciale, imponendo urgente, la ricostruzione di un sentimento unitario, di una coscienza di classe, dove chiara è apparsa la scelta coraggiosa del rifiuto, riconoscendo una trappola travestita da condizione irrinunciabile e sempre nella consapevolezza dei rischi a cui si andava incontro. Una giornata dunque sentita, sofferta, gioita, costruita pezzo dopo pezzo, passo dopo passo per le strade strette di una città imbellettata, sonnolenta ma questa volta non indifferente, fiduciosi del fatto che tale mobilitazione abbia aggiunto una riflessione ulteriore riguardo i percorsi antagonisti e conflittuali da intraprendere e nella risposta - ribadirlo non fa di certo male - anticapitalista e internazionalista delle lavoratrici e dei lavoratori - che sono chiamati a dare all’orrore del capitalismo e della Troika, in una ricorrenza estremamente importante nella storia del movimento operaio e per la militanza e per l’organizzazione, nella volontà di consolidare un impegno che il primo maggio ha preteso rilanciare e indicare di direzione futura.

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