8.8.17

Sugli sgomberi e in particolare oggi, quello che ha coinvolto il centro sociale Làbas



Sugli sgomberi e in particolare oggi, quello che ha coinvolto il centro sociale Làbas va espressa attenta riflessione e non può che coinvolgere il Decreto Minniti che sta contribuendo a peggiorare molte cose. 
Ciò che è all'evidenza dei fatti è che il Governo abbia offerto strumento prezioso ai sindaci, consegnando loro la possibilità di confezionare ordinanze discriminatorie, repressive. I sindaci infatti, hanno ora a piene mani, in nome dell’ambiguo concetto di “decoro urbano”, un potere di ordinanza che stato era riservato solo al questore (tanto da far assumere al provvedimento, dal capogruppo democratico alla Camera, Ettore Rosato, la definizione tristissima di “Daspo cittadino”) e che non è rimasto certo inattivo in questi mesi: allontanamento dai centri storici delle città di chiunque venga considerato “indecoroso”, sia per la sua mera presenza (senza tetto o ambulanti) sia per il comportamento (consumatori di droghe o alcolici, "frugatori" di cassonetti, writers) sia per l'utilizzo di spazi pubblici e dunque verso gruppi e organizzazioni politiche nella “libera accessibilità e fruizione” di particolari luoghi, piazze incluse. 
In pratica la criminalizzazione in assenza di fattispecie di reato e senza alcuna possibilità di ricorso giurisdizionale. Condizioni che la sentenza del Tar del Friuli Venezia Giulia segnalava come vincolanti per le ordinanze dei sindaci e chiedeva di eliminare per via legislativa. Ed è stato un capolavoro di idiota, legalitaria convinzione l'affermazione di Rosato che del Decreto Minniti, così disse: “La sicurezza è un patrimonio della collettività e non la lasceremo alla demagogia violenta e alla destra chiacchierona”. E di certo non fa una piega per le politiche securitarie e smantellamento del welfare di cui il Partito Democratico, in questa legislatura, si è fatto interprete. 
La strage delle conquiste sociali, include tra i provvedimenti governativi, la necessità di insistere sulla paura del crimine, anche contro i fatti e di generare allarme sociale. È ciò del resto a cui si è assistito in Italia negli ultimi vent’anni, dove la Lega Nord ha egemonizzato il discorso pubblico su questi temi, accolti anche da quel centrosinistra che assume tratti specifici della cultura economica di destra. Cosa si intende dunque per “decoro pubblico” ? Forse il desiderio di condividere luoghi di sociabilità accoglienti e per tutti: raccolta rifiuti, acque pulite, territori preservati, edilizia curata, strade sicure, mezzi pubblici funzionali, scuole accoglienti? No ovviamente. Tale scure poliziesca cade di mannaia su tutto quanto già privatizzato, depotenziato e smantellato. Innestandosi e innescando le paure, spesso amplificate dalla politica, sull’immigrazione. Lo scenario volutamente anticlassista è chiaro nel momento in cui migranti e rom sono i primi soggetti ad essere colpiti dai provvedimenti sul “decoro”. E non si pensi solo alle grottesche iniziative leghiste del Nordest quali, privare i centri cittadini delle panchine “perché altrimenti immigrati e barboni si siedono” ma anche come le amministrazioni di centrosinistra abbiano coniugato la parola d'ordine della sicurezza sociale alle pratiche di destra (per chi se ne stupisca abbiamo il silenzio di De Magistris e qualche daspo da poter vantare): lo ricordate piuttosto Matteo Renzi, quando se ne fece interprete come Sindaco nel 2009, firmando un’ordinanza che colpiva “tutti quei comportamenti in cui la richiesta di denaro non è fatta palese con il semplice atto della mano tesa”? E così, chiunque faccia un uso non gradito, non disciplinato, non convenzionale dello spazio pubblico può essere punito, schedato, allontanato. Abbiamo dunque la costruzione sociale della paura, la percezione indotta di vivere in quella società del rischio descritta da Beck, che oltre ai fenomeni crescenti di rendita urbana costruisce la base epistemologica su cui poggia l'idea di una città divisa in frattali, scheggiata e scomposta, nutrita di spazi negati e di gruppi sociali non comunicanti tra loro. Una città duale dove i quartieri alti, i centri commerciali, le zone di interesse immobiliare o di afflusso turistico debbano risultare atti al flusso delle merci, una città che si realizzi dunque come contenitore vuoto ma pulito, sicuro, epurato da elementi di criticità o dissonanza ma soprattutto che gli elementi e i modelli alternativi di vivere il contesto urbano e i suoi spazi siano condannati e dove le periferie o i ghetti si pongano distanti, sideralmente lontani ed unicamente luoghi di marginalità e ricettacoli della marginalità stessa. La subalternità della condizione economica (e che ovviamente ricade con maggiore recrudescenza verso i gruppi etnici) determina nell'esclusione, il dato spaziale e il dato sociale: la libertà di movimento, quella di accesso, il diritto alla città diviene sempre maggiormente un privilegio detenuto nelle mani di pochi. Lo spazio urbano è dunque il luogo per antonomasia dell'iniquità sociale, che da ingiustizia etica si tramuta in forma e divisione spaziale. E in tal senso, è paradigmatico lo sgombero stamani dell'ex caserma Masini, che in cinque anni ha consegnato quello spazio all'accoglienza e ad una socialità di partecipazione collettiva (viene costruito un dormitorio sociale, gli orti e il mercato bio, oltre ad una serie di attività dal basso che hanno dato ossigeno al quartiere) così come i sigilli apposti al Crash.

Chiara Pannullo

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